lunedì 30 marzo 2015

The Amazing Spider-Man 2: Il Potere di Electro

anno: 2014       
regia: WEBB, MARC  
genere: fantastico  
con Andrew Garfield, Emma Stone, Jamie Foxx, Dane DeHaan, Campbell Scott, Embeth Davidtz, Colm Feore, Paul Giamatti, Sally Field, Felicity Jones, Marton Csokas, Kari Coleman, Stan Lee  
location: Usa
voto: 4  

Dopo averlo visto, sembra impossibile credere che il secondo episodio di The amazing Spider-Man lo abbia girato lo stesso regista: Marc Webb. Eppure è così: tanto è intelligente nella narrazione e dosato sul piano degli effetti speciali il primo, tanto è survoltato e fracassone questo secondo episodio, il cui scopo principale sembra essere quello di esaltare il 3D, con lancio di ragnatele e scariche elettriche sull'occhio del pubblico. Stavolta Peter Parker (Garfield) deve vedersela con ben due antagonisti: uno è un povero cristo di colore (Foxx) che ha progettato la megastruttura diretta dal rampollo malaticcio di una famiglia ricchissima (DeHaan). Il tapino, ignorato e invisibile presso l'ufficio dove lavora, cade in un recipiente dove si stanno conducendo sperimentazioni modello Frankenstein e si trasforma in Electro, mostro capace di potentissime scariche elettriche che lo porteranno al centro dell'attenzione (già che c'erano, gli sceneggiatori hanno pensato di cancellargli il vistoso diastema: mistero diegetico). L'altro antagonista è proprio il ragazzotto viziato che vuole ottenere il sangue di Spider-Man per curare la malattia che lo potrebbe portare precocemente alla morte. Ma tra i due, chi occupa il tempo del supereroe è soprattutto Gwen (Stone), la ragazza di Peter Parker che vorrebbe una vita più normale.
In attesa di vedere Spider-Man contro Maciste e Spider-Man contro il Pirata Nero, tocca sorbirsi questo episodio che per tre quarti è giocato sulla computer graphic con esiti più da cinema dell'orrore che da fantascienza (nonostante le tecnologie avveniristiche messe in scena) e sovrabbondanza dell'intreccio amoroso. Qui tutto è distruzione, enfasi, spettacolo faraonico, citazioni gratuite come quella della rivolta di piazza Tienanmen, con uso debordante del grandangolo e contenuti risibili.    

domenica 29 marzo 2015

Una nuova amica (Une nouvelle amie)

anno: 2014       
regia: OZON, FRANÇOIS
genere: grottesco
con Romain Duris, Anaïs Demoustier, Raphaël Personnaz, Isild Le Besco, Aurore Clément, Jean-Claude Bolle-Reddat, Bruno Pérard, Claudine Chatel, Anita Gillier, Alex Fondja, Jonathan Louis, Zita Hanrot, Pierre Fabiani, Mayline Dubois, Anna Monedière, Brune Kalnykow, Joanie Tessier, Kimberly Boily, Kessy Boily, Elisa Sereda, Victoria Ferreira Denisot, Melody Hudon, David Sevier, Evan Marois, Sébastien Pouderoux, Anne-Laure Gruet, François Ozon, Cédrick Spinassou, Philippe Perez, Valérie de Monza, Laetitia Richard, Jules Trasléglise, Nicolas Imbert, Axel Bry, Sylvie Degryse, Magali Agado, Christophe Therrien, Diane Prost, Judith Quinet, Nicolas Mansion, Yves Girard, Jacques Longo, Lady Maxx, Angelo Bianco, Christophe Peno, Christophe Carlotti, David Courant, François Bourdonnais, Daniel Guignabert, Vincent Harry, Tony Poveda, Claude Roustit
location: Francia
voto: 2

"Almodóvar incontra Hitchcock", strilla il messaggio promozionale del film. Sì, d'accordo. E Ruby è la nipote di Mubarak e io sono il Papa. Il povero Alfred tira berci dalla tomba dopo aver sentito una simile impostura. Il quattordicesimo film del prolificissimo Ozon, tratto dal romanzo di Ruth Rendell, miscela alla rinfusa gli ingredienti cari al regista (apparenza e realtà, perversioni, famiglia, amori impossibili) in un viavai continuo di gommapiuma, rossetti, vestaglie, pinzette, creme e parrucche. Pochissimo da dire sulla trama: lui (Duris) rimane vedovo della migliore amica di lei (Demoustier) ma deve anche crescere una neonata. Lei scopre che lui ama vestirsi da donna ("a Lucie manca la mamma", spiega sbrigativamente, creandosi un alibi con i suoi doveri paterni). Lei dapprima nicchia, poi ci prende gusto e il viavai si estende alle vetrine della città, in un contesto - come in tutti i film di Ozon - sempre altolocato, opulento, schifosamente ricco. Le due sfaccendate non possiedono un'identità sessuale molto nitida e così il gioco ondeggia per quasi due ore tra un "lo faccio" e un "non lo faccio" ora etero, ora parasaffico. Applausi a Roman Duris, tutto pelle e ossa, per avere così coraggiosamente ribaltato lo sciupafemmine de Il Truffacuori nel suo esatto opposto, ma dello slogan del lancio pubblicitario in questo che - con Potiche - è il peggior film di Ozon, di vero ci sono solo i travestiti di Almodovar. Ma neppure un briciolo del suo talento. Sul tema dell'eonismo in chiave di amicizia avevano detto e fatto molto meglio Billy Wilder (A qualcuno piace caldo), Blake Edwards (Victor Victoria) e Sydney Pollack (Tootsie).    

giovedì 26 marzo 2015

La terra dei santi

anno: 2014       
regia: MURACA, FERNANDO
genere: drammatico
con Valeria  Solarino, Lorenza  Indovina, Ninni  Bruschetta, Daniela  Marra, Tommaso  Ragno, Francesco  Colella, Piero  Calabrese, Marco  Aiello, Giuseppe  Vitale
location: Italia
voto: 2

La 'ndrangheta declinata al femminile. Siamo nella Calabria Saudita, nota come la terra dei santi (anche se sul muro del bunker di un boss latitante campeggia l'immagine di padre Pio, forse perché il film è stato girato a Manfredonia). A fronteggiarsi c'è una magistrata (dato il tema, sforziamoci di concedere al lessico le sue regole) integerrima (Solarino) - che ricorda molto la Golino di Come il vento a cominciare dalle corse sulla spiaggia - e due sorelle: la maggiore (Indovina) ha un marito latitante (Ragno, pessimo come al solito) e un figlio che sta educando secondo la strada paterna (Aiello); la minore (Marra) è vedova e si è risposata con un soggetto da guinness dei primati: la prima notte di nozze la mette incinta e il giorno dopo si fa arrestare dalla Polizia: roba da dover aggiornare la legge di Murphy. La magistrata, dopo che il figlio della più piccola delle due sorelle è stato freddato a colpi di mitra, è decisa a portare via alla donna l'altro pargolo, per darlo in affidamento ai servizi sociali. Apoteosi con l'abbraccio tra il piccolo e la magistrata.
Arrivata fuori tempo massimo non solo rispetto a Gomorra - La serie, che in materia di rapporti tra mafie e donne aveva già espresso molto, ma persino rispetto a La piovra, l'opera seconda di Fernando Muraca (che aveva già firmato una docufiction su Beato Giovanni Duns Scotus) è un feuilleton appassito con scene che sono la brutta copia di molti altri film: dall'iniziazione del ragazzino che urina sulla merce del commerciante sottoposto al pizzo, al rito iniziatico della 'ndrina, tutto sa di precotto e girato con molta approssimazione, con un'incuria pari solo a quella dei dialoghi (il livello è "mmmmh… che bona 'sta limunat! Cumm 'a facisti?" "Chii limun appin pigghiati dall'alber"). Se acquistate il biglietto vi sarà data in omaggio la presenza di Ninni Bruschetta per dare un minimo di senso alla confezione. Mentre Lorenza Indovina, altrove bravissima (Un amore, La vita come viene), non era mai stata così fuori parte.    

mercoledì 25 marzo 2015

Wolf - La belva è fuori

anno: 1994   
regia: NICHOLS, MIKE
genere: fantastico
con Jack Nicholson, Michelle Pfeiffer, James Spader, Kate Nelligan, Richard Jenkins, Eileen Atkins, Christopher Plummer, William Hill, Peter Gerety, Brian Markinson, Prunella Scales, Ron Rifkin, Om Puri, David Hyde Pierce
location: Usa
voto: 7,5

Proprio quando sta per essere licenziato dal proprietario della casa editrice per la quale lavora, Will Randall (Nicholson) viene morso da un lupo tra le montagne del Vermont. Comincia così a sviluppare caratteri da licantropo: i sensi si acuiscono e nelle notti di luna piena l'aspetto ferino che è in lui aggalla inesorabilmente. Grazie a un olfatto, una vista e un udito formidabili, scopre che il suo rampante e untuoso delfino (Spader) sta per fargli le scarpe, oltre a portarsi sua moglie a letto. Sarà solo la bella figlia (Pfeiffer) del suo capo (Plummer) a comprenderlo nella sua animalesca metamorfosi.
Fantahorror a tinte gotiche che mette in scena l'esplicita metafora hobbesiana dell'uomo lupo dell'altro uomo in un plot da revenge movie. La trama è intrigante, ben congegnata seppur con qualche cliché: peccato che Nichols - altrove regista impeccabile (Il laureato, Conoscenza carnale, A proposito di Henry) - non riesca a decidersi tra la commedia nera, nella quale Nicholson giganteggia, e gli effettacci da film dell'orrore, peraltro inesorabilmente segnati dal tempo.

domenica 22 marzo 2015

Vulva 3.0 - Questione di labbra

anno: 2014   
regia: RICHARZ, CLAUDIA * ZIMMERMANN, ULRIKE   
genere: documentario   
location: Germania
voto: 6   

Ve lo ricordate Benigni nell'edizione di Fantastico 12? La puntata in cui, scherzando con la Carrà, attaccò un monologo poi diventato celebre: "La passerotta ... la mona ... la picchia ... la crepaccia ... la buchiacca ... […] La tacchina ... la topa, la sorca... la patonza. È bellissimo! La patonza, la bernarda, la gnocca, la gnacchera ... l'anonima sequestri ... quelli medici: la vagina ... la vulva. Oh ... la vulva fa paura! Guarda che vulva! 740 Turbo diesel". E proprio di vulva parla questo documentario tedesco che affronta molto seriamente l'argomento chiamandone in causa le sfaccettature più diverse: dall'ossessione delle giovanissime per la depilazione a quella delle più grandicelle per eventuali asimmetrie e sproporzioni, tali per cui il ricorso alla labioplastica sta diventando sempre più frequente negli studi di chirurgia estetica. Non mancano poi i riferimenti all'arte, alla storia, alle differenze culturali in termini antropologici (l'infibulazione, la clitoridectomia) e sociologici. Un excursus a tutto tondo interessante ma mai sufficientemente approfondito, che semina tracce in molti ambiti disciplinari limitandosi a registrare e lasciando sulle quinte le ragioni delle più disparate prospettive riguardanti la vagina. Il tutto in assenza di un tracciato filmico minimamente creativo.    

sabato 21 marzo 2015

The Amazing Spider-Man

anno: 2012   
regia: WEBB, MARC 
genere: fantastico 
con Andrew Garfield, Emma Stone, Rhys Ifans, Denis Leary, Martin Sheen, Sally Field, Irrfan Khan, Campbell Scott, Embeth Davidtz, Chris Zylka, Max Charles, C. Thomas Howell, Jake Keiffer, Kari Coleman, Michael Barra, Leif Gantvoort, Andy Pessoa, Hannah Marks, Kelsey Chow, Kevin McCorkle, Andy Gladbach, Ring Hendricks-Tellefsen, Barbara Eve Harris, Stan Lee, Danielle Burgio, Tom Waite, Keith Campbell, Steve DeCastro, Jill Flint, Mark Daugherty, Milton González, Skyler Gisondo, Charlie DePew, Jacob Rodier, Vincent Laresca, Damien Lemon, Ty Upshaw, James Chen, Alexander Bedria, Tia Texada, Jay Caputo, John Burke, Terry Bozeman, Jennifer Lyons, Michael Massee, Amber Stevens 
location: Usa
voto: 7,5 

Peter Parker (Garfield) ha perso misteriosamente i genitori, è stato allevato dagli zii ed è uno studente liceale un po' nerd innamorato di una compagna di classe (Stone). Scopre alcuni appunti che il padre scienziato (Scott) stava redigendo sulla contaminazione tra specie e decide così di mettersi sule tracce del dott. Connors (Ifans), che aveva collaborato col genitore a quel progetto. È così che viene morso da un ragno, acquisendo poteri da supereroe. I guai arriveranno quando il dott. Connors, che ha perso un braccio, farà incaute sperimentazioni su sé stesso, trasformandosi in un micidiale lucertolone che terrorizza la città intera.
Dopo la "cura" Sam Raimi (tre episodi di Spider man girati tra il 2002 e il 2007), il supereroe della Marvel torna sul grande schermo sotto la direzione di Marc Webb (500 giorni insieme) ringiovanito e sottopeso in una sorta di reboot calato in una cornice più attuale e diviso sostanzialmente in due parti. La prima, di gran lunga la migliore, è un racconto di formazione con qualche brusca virata drammatica (la morte dello zio). La seconda consolida il cliché della lotta del supereroe contro l'antagonista di turno, trasformandosi in un blockbuster fracassone e prevedibile, pur avendo dalla sua un uso mirabolante degli effetti speciali.    

venerdì 20 marzo 2015

N-Capace

anno: 2014       
regia: DANCO, ELONORA
genere: documentario
con Eleonora Danco, Mario Di Mario
location: Italia
voto: 10

"Me vojo sarva'!" sembra volerci urlare Eleonora Danco, regista teatrale, performer, iconoclasta per vocazione, qui al suo primo film da regista (ma come attrice, al cinema, la sia era già vista in Il nodo alla cravatta, Italia village, La cena, Ecco fatto, La balia, Controvento, La stanza del figlio e Romanzo criminale). Salvarsi dalla mediocrità di un mondo di adulti che la annoiano. Lei, dichiaratamente anima in pena come il suo personaggio, preferisce gli n-capaci, quelli fuori dal processo produttivo: adolescenti e vecchi, tutti pochissimo scolarizzati, proletari. E allora se li va a pescare tra Terracina, dove è nata, e Roma, dove vive, da San Lorenzo a Tor Bella Monaca. E li incalza con domande sul sesso, la morte, la fede, il lavoro, la mamma ("chiama mamma come quando eri piccolo", ingiunge al padre vedovo che le risponde con la pazienza di Giobbe e alle novantenni che intervista, provoca, interroga), pone quesiti obliqui e imprevedibili ("ma i giovani stempiati soffrono?"), gioca con i suoi personaggi senza mai prenderli in giro, senza giudicarli, svela i meccanismi di ribalta e retroscena dell'azione filmica, inserisce nel montaggio le parti sbagliate, i richiami della regia. Intervallando tutto questo con dei quadri viventi surrealisti - al centro dei quali spesso si trova lei, in pigiama, su un letto fotografato in scorci metropolitani diurni - o la si vede aggirarsi scalza e vestita come una dea greca per picconare letteralmente le brutture di una Roma che non c'era quando lei era adolescente - quella del muro dell'Ara Pacis di Meier o il nuovo mercato di Testaccio -, si rotola per terra, urla, nell'indifferenza generale del mondo degli adulti. Si spoglia, persino. Crea squarci di riflessioni autobiografiche sempre in campo lunghissimo ("ho assaggiato lo zucchero della morte", parlando della perdita della madre), sguinzagliando, come a teatro, la sua vocazione ipercinetica, estrema  e sempre controcorrente, ironica e dolorosa al tempo stesso. Proprio come questo suo film, una ventata d'aria freschissima, cinema inclassificabile, sperimentale, lieve eppure profondo, sempre spiazzante, "fisico", che certo deve qualcosa al Moretti di Io sono un autarchico ed Ecce bombo (lei nella vasca completamente ricoperta da biscotti ricorda il regista romano in Bianca con il barattolone gigante di Nutella), a Buñuel, Huillet e Straub, Ciprì e Maresco, ai Comizi d'amore di Pasolini. Un cinema coraggiosissimo e al tempo stesso esilarante, N-arcisista e vitalissimo. Grazie, Eleonora, per averci salvati.    

mercoledì 18 marzo 2015

Foxcatcher - Una storia americana

anno: 2013       
regia: MILLER, BENNETT  
genere: drammatico  
con Steve Carell, Channing Tatum, Mark Ruffalo, Sienna Miller, Vanessa Redgrave, Anthony Michael Hall, Guy Boyd, Brett Rice, Jackson Frazer, Samara Lee, Francis J. Murphy III, Jane Mowder, David Bennett, Lee Perkins, Robert Haramia, Daniel Hilt, Bryan Cook, David Zabriskie, Zach Rey, Reece Humphrey, J.D. Bergman, Corey Jantzen, Frederick Feeney, Mark Schultz, Lee Kemp, Jake Herbert, Donald Modrick, Gabrielle Burton, Kevin Cooke, Richard E. Chapla Jr., Bill Ehrin, Roger Callard, Dan Anders, Barry Vlanich, Sam Brehm, Stan Dziedzic, David Miller, Bruce Baumgartner, Joe Russo, Ken Williams, Gene Mills, John C. Baxter, Rick Steigerwald, Mark Snider, Jazz Securo, Corey Walker, Alan Oppenheimer  
location: Usa
voto: 6,5  

È la storia più funerea del sogno americano quella che racconta Bennett Miller (premio per la miglior regista al 67o festival di Cannes), il cui cinema continua a girare sul tema del tradimento dei Padri della nazione, sull'eclissi dei valori, sulla perdita dei modelli che qui compaiono come fantasmi. Di modelli e mentori si parla moltissimo in questo film che mette in scena - alla maniera di Truman Capote: a sangue freddo - la perdita dell'innocenza di una nazione venduta al denaro e alle armi.
Protagonista di quest'altra storia vera (la terza, con L'arte di vincere) è John De Pont (Carrell), eccentrico ereditiere di una delle più ricche famiglie d'America ormai attempato, eppure ancora nel cono d'ombra della madre ultraottuagenaria (Redgrave). L'uomo vorrebbe mostrare di valere qualcosa e così, nella sua residenza regale dove ha anche allestito una palestra di lotta libera, nel 1987 ingaggia Mark Schulz (Tatum), medaglia d'oro olimpica in quella disciplina, puntando alla vittoria dell'olimpiade successiva nella quale vorrebbe figurare come coach. Il ragazzotto, un solitario dall'aspetto non proprio sveglio, allenato e cresciuto dal fratello maggiore Dave (Ruffalo), cede alla proposta per rastrellare qualche dollaro facile ma finisce col perdere motivazioni e peso, lasciandosi irretire da alcol e cocaina. Non contento, Du Pont reclama anche la venuta di Dave con tutta la famiglia, cosa che, dopo qualche resistenza, avviene puntualmente. Con conseguenze tragiche. Il denaro come unico dio, i modelli veri (il fratello) che cedono e quelli contraffatti (il plutocrate), una nazione intera venduta allo sbraco dell'edonismo (siamo nel pieno degli ani '80), le armi - persino un carro armato - nel giardino di casa come fossero giocattoli, la solitudine diffusa: è questo il ritratto impietoso e algido di un'America senza più guide, per la quale il patriottismo è soltanto uno slogan e in cui persino lo sport ancestrale della lotta libera ha ceduto alle apparenze pagliaccesche del wrestling.    

martedì 17 marzo 2015

Fino a qui tutto bene

anno: 2014       
regia: JOHNSON, ROAN
genere: commedia
con Alessio Vassallo, Paolo Cioni, Silvia D'Amico, Guglielmo Favilla, Melissa Anna Bartolini, Isabella Ragonese
location: Italia
voto: 5,5

Per i cinque ragazzi che per anni hanno vissuto nello stesso appartamento di Pisa è l'ultima settimana da trascorrere insieme. C'è chi dovrà fare i conti con una maternità non voluta (D'Amico), chi dovrà prendere decisioni cruciali rispetto al proprio futuro professionale e sentimentale (Vassallo), chi è costretto a decidere se insistere o meno con la strada del teatro off (Favilla). Su tutti aleggia il fantasma di un amico scomparso.
Il secondo film dell'angloitaliano Roan Johnson è un ritratto generazionale che fotografa la linea d'ombra di quel rito di passaggio che sta tra i guizzi goliardici (l'amplesso con l'anguria, la doccia tutti insieme) e l'ingresso nel mondo degli adulti, dopo amori alla rinfusa, paste condite con niente, cibi ritrovati come reperti archeologici nella credenza della cucina, qualche inevitabile frizione. Siamo più o meno tra Ecce bombo e la rappresentazione degli universitari de I laureati e L'appartamento spagnolo. Il film di Roan Johnson parte però da uno spunto particolare: una serie di interviste che avrebbero dovuto trasformarsi in un documentario e che invece hanno fornito l'occasione per una commedia garbata, intelligente, fresca, contraddistinta dallo stesso spirito giovanilista del precedente I primi della lista ma senza gli stereotipi di gente come Brizzi, Genovese, Veronesi e compagnia, servita da interpreti credibilissimi ma anche, va detto, flebile flebile.    

lunedì 16 marzo 2015

The cuban Hamlet - Storia di Tomas Milian

anno: 2014       
regia: SANSONNA, GIUSEPPE
genere: documentario
con Tomas Milian
location: Cuba, Italia
voto: 2,5

Tra i documentari che, da una trentina d'anni a questa parte, hanno cominciato a diffondersi in sala o in dvd, dedicati ad attori più o meno importanti (Riso in bianco, su Moretti; Mi ricordo, sì io mi ricordo e Marcello, una vita dolce, entrambi mirati a ricordare l'immenso Matroianni; Come inguaiammo il cinema italiano, sulla comicità di Franchi e Ingrassia; Un attore contro, straordinario e imprescindibile ritratto di quel gigante che fu Gian Maria Volontè; Un principe chiamato Totò; Ritratto di mio padre, dedica di Maria Sole a Ugo Tognazzi; Una vita da mattatore, con ovvio riferimento a Gassman; Francesco Nuti... e vengo da lontano, documentario che segna il triste passaggio di Nuti dal successo alla malattia; Carlo!, omaggio a Verdone; Alberto il grande, doc nel quale lo stesso Verdone ricorda a sua volta il Maestro Sordi; Tutte le storie di Piera, in cui il riferimento onomastico è alla Degli Esposti), quello dedicato a Tomas Milian è senz'altro uno dei peggiori. Si tratta di un'oretta di intervista montata in due occasioni diverse, durante la quale l'attore cubano, rientrato in patria dopo una lunghissima assenza (era andato via nel 1956) e una carriera cinematografica spesa tra l'Italia e gli Stati Uniti, si racconta con piglio narcisista alla macchina da presa di Giuseppe Sansonna, anch'egli quasi sempre davanti allo schermo. Quell'uomo, oggi segnato dagli acciacchi del tempo e claudicante, tra gli anni settanta e gli anni ottanta conobbe un successo spropositato come interprete di B-movies ad altissimo tasso coprolalico in cui interpretò il commissario Monnezza (doppiato sempre dall'indimenticabile Ferruccio Amendola) sotto la regia di Bruno Corbucci. Ma Milian fu attore impegnato per Antonioni, Bertolucci, Bolognini, Cavani, Damiani, Lattuada, Maselli, Pollack e Spielberg. Di tutto questo il documentario parla appena tangenzialmente, non ricorrendo neppure a una sola immagine di repertorio. Preferisce piuttosto scivolare su note strettamente autobiografiche e personalissime: il difficile rapporto col padre autoritario, la bisessualità dichiarata, lo sperpero della fortuna accumulata. Un vero peccato, perché un attore che è stato capace di oscillare continuamente tra le vette del cinema d'autore e i bassifondi di quello più triviale avrebbe meritato una lettura un minimo più approfondita.    

domenica 15 marzo 2015

La vita di Adele (La vie d'Adele)

anno: 2013   
regia: KECHICHE, ABDELLATIF
genere: drammatico
con Adèle Exarchopoulos, Léa Seydoux, Salim Kechiouhe, Aurélien Recoing, Catherine Salée, Benjamin Siksou, Mona Walravens, Alma Jodorowski, Jeremie Laheurte, Anne Loiret, Benoit Pilot, Sandor Funtek, Fanny Maurin, Samir Bella, Aurelie Lemanceau, Baya Rehaz, Karim Saidi
location: Francia
voto: 7

Avrebbe potuto intitolarsi "i tormenti della giovane Adele" il film numero cinque del regista franco-tunisino Abdellatif Kechiche, ancora una volta incentrato su una figura femminile che raccoglie le suggestioni dei film precedenti: l'erotismo (Tutta colpa di Voltaire), l'amicizia (La schivata), il tradimento (Cous Cous), lo stigma (Venere nera). Adele (Exarchopoulos) è una diciottenne all'ultimo anno di liceo. Per il futuro professionale ha le idee chiarissime: vuole fare l'insegnante, e ci riuscirà. Riguardo alla sua identità sessuale, le idee sono assai più confuse: dapprima ingaggia una relazione di facciata con un coetaneo ma dopo pochissimo tempo si rende conto di essere attratta dalle donne. Inizia così la sua lunga relazione con Emma (Seydoux), artista stravagante e viziata, diversissima da lei quanto a classe sociale e cultura. L'idillio tra le due termina quando Emma scopre - in una scena dal fortissimo impatto emotivo - che Adele l'ha tradita - guarda un po' - con un collega di scuola.
Il cinema ipertrofico e fluviale di Kechiche si conferma anche con quest'opera premiata a Cannes con il massimo alloro. Dialoghi lunghi, densi e spesso colti alla maniera di Rohmer (vengono citati Marivaux e Sartre) si alternano a dettagli del quotidiano che non risparmiano allo spettatore neppure un minuto (180 in totale). Questa prolissità rappresenta la cifra stilistica di un film che pedina costantemente il corpo e le labbra della protagonista, ci offre il suo respiro, lascia alle scene di amore saffico un tempo e una ricchezza di dettagli inusitati che segnano un capitolo del tutto inedito in quella lunghissima storia della rappresentazione dell'eros al cinema che dal seno scoperto di Hedy Lamarr ci conduce qui a espliciti particolari anatomici (rispetto ai quali le due protagoniste hanno poi aperto una polemica col regista che ricorda la controversia tra Maria Schneider e Bertolucci per Ultimo tango a Parigi). Restituendoci così un ritratto a tutto tondo dell'iniziazione sentimentale della giovane protagonista, peraltro interpretata con stupefacente verismo da Adèle Exarchopoulos, al pari di Léa Seydoux, già ottima interprete di Lourdes e Sister.    

sabato 14 marzo 2015

London Boulevard

anno: 2011   
regia: MONAHAN, WILLIAM
genere: gangster
con Colin Farrell, Keira Knightley, David Thewlis, Anna Friel, Ben Chaplin, Ray Winstone, Eddie Marsan, Sanjeev Bhaskar, Stephen Graham, Ophelia Lovibond, Jamie Campbell Bower
location: Regno Unito
voto: 6,5

Appena uscito dalla galera, Mitch (Farrell) si mette in cerca di un lavoro pulito. Gli viene così offerta l'occasione di fare la guardia del corpo di un'attrice (quel monumento all'anoressia che è la terribile Keira Knightley), rinchiusa nel suo villone assediato dai paparazzi, in preda a un esaurimento nervoso e controllata a vista da un tossico borderline e nichilista (Thewlis). Ma un boss ultrasadico (Winstone) pretende i favori di Mitch, per il quale sarà difficile mantenersi fuori dal quel giro.
Al suo esordio dietro la macchina da presa dopo avere scritto sceneggiature come  Le crociate, The Departed e Nessuna verità, William Monahan dirige un gangster movie anomalo, straniante, nel quale la violenza, pur efferata, rimane sempre fuori campo. La traiettoria del gangster buono segue un percorso che irrompe in una zona che sta tra il grottesco e il metafisico, con spargimento di relazioni e personaggi anodini (il paparazzo con gli occhiali da sole, il mendicante finto cieco, il killer serbo) in un quadro drammaturgico ellittico ma avvincente.    

mercoledì 11 marzo 2015

Nessuno si salva da solo

anno: 2015       
regia: CASTELLITTO, SERGIO
genere: sentimentale
con Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Anna Galiena, Marina Rocco, Massimo Bonetti, Eliana Miglio, Massimo Ciavarro, Renato Marchetti, Valentina Cenni, Gabriel Farnese
location: Italia
voto: 7,5

Scene da un matrimonio al Villaggio Olimpico di Roma. Delia (Trinca) e Gaetano (Scamarcio) si sono lasciati. Vanno a cena fuori per pianificare le vacanze dei loro due figli. La cena diventa l'occasione per ricostruire i saliscendi della loro relazione, che dalla folgorazione li ha condotti all'allontanamento.
Terzo dei cinque film da regista a essere tratto da un romanzo della moglie Margaret Mazzantini (gli altri erano Non ti muovere e Venuto al mondo), Nessuno si salva da solo è anche quello di gran lunga più riuscito. Merito di una storia comune raccontata attraverso continui flashback con ritmo pulsante, ricchissima di scene madri, capace di offrire una fitta gamma di colorazioni emotive grazie anche a una Jasmine Trinca torva come sempre ma proprio per questo sufficientemente in parte e a un Riccardo Scamarcio di stratosferica bravura. I due impersonano classi sociali e realizzazioni diverse: lei è una nutrizionista della Roma bene con un passato da anoressica; lui viene da Ostia e avrebbe voluto realizzarsi come autore di cinema, finendo invece con lo scrivere sceneggiature per sit-com. Queste stesse differenze di classe sociale riemergono nei dissapori e nelle rimostranze della cena, in un'altalena di potente emotività. Le intermittenze del cuore sono registrate senza calligrafismo ma con qualche cedimento a un eccesso di scrittura ("ho infilato la giacca che metto per buttare la spazzatura e sono andata ad abortire") e con l'unica imperdonabile ingenuità in un film quasi perfetto: quella dello sbandamento favolistico dei dieci minuti regalati a un pur bravo Roberto Vecchioni, che ammannisce anche un pistolotto verbosissimo sulla durata della coppia. E poi: per quanto tempo ancora dovremo aspettarci il saccheggiamento del repertorio di Lucio Dalla?    

Strade perdute (Lost highway)

anno: 1997       
regia: LYNCH, DAVID 
genere: noir 
con Bill Pullman, Patricia Arquette, John Roselius, Louis Eppolito, Jenna Maetlind, Michael Massee, Robert Blake, Henry Rollins, Michael Shamus Wiles, Mink Stole, Leonard Termo, Ivory Ocean, Jack Kehler, David Byrd, Gene Ross, Balthazar Getty, F. William Parker, Guy Siner, Alexander Folk, Gary Busey, Lucy Butler, Carl Sundstrom, John Solari, Jack, Al Garrett, Heather Stephens, Giovanni Ribisi, Scott Coffey, Natasha Gregson Wagner, Amanda Anka, Jennifer Syme, Richard Pryor, Robert Loggia, Matt Sigloch, Gilbert B. Combs, Greg Travis, Jack Nance, Lisa Boyle, Leslie Bega, Marilyn Manson, Jeordie White 
location: Usa
voto: 6 

Un sassofonista (Pullman) e sua moglie (Arquette) si vedono recapitare a più riprese alcune videocassette che ritraggono non solo gli esterni della casa dove abitano, ma persino gli interni e i due che dormono. Attivata la polizia per districare il caso, il sassofonista riceve un ulteriore nastro nel quale è filmato l'omicidio della sua compagna. Accusato di uxoricidio, finisce così in carcere, dove però dopo alcuni giorni i secondini al suo posto trovano un giovane meccanico messicano (Getty) che, una volta uscito, ingaggia una relazione clandestina con una bionda (ancora interpretata dalla Arquette), donna di un boss della malavita. Minacciati da quest'ultimo, i due amanti clandestini rischiano la vita prima che l'anello si chiuda.
Dopo le prove generali con I segreti di Twin Peaks, il cinema destrutturato, antinarrativo e labirintico di David Lynch arriva qui al suo compimento con un film carico di tensione, ipnotico, anodino, allucinato, capace di scarti improvvisi e carico di simbolismi arcani, nel quale salta anche il meccanismo-base della narrazione, quello della continuità dei soggetti. Affidato a interpreti mediocri, Strade perdute è un'opera sul tema della gelosia che sembra mettere in campo l'inconscio del protagonista. Sperimentale e intrigante, il film prepara la via a Mulholland drive, prima dello scantonamento parossistico di Inland Empire.  

lunedì 9 marzo 2015

After porn ends - Vite da pornostar

anno: 2012       
regia: WAGONER, BRYCE   
genere: documentario   
con Asia Carrera, Tiffany Million, Richard Pacheco, Mary Carey, Crissy Moran, John Leslie, Amber Lynn, Shelley Lubben, Raylene, Seka, Houston, Randy West, Neil Malamuth, Nina Hartley, Luke Ford, William Margold, Jenna Jameson, Kylie Ireland, Tera Patrick, Juliana Gordon, Sabree Scott   
location: Usa
voto: 4   

Si intitola "After porn ends", quando il porno finisce, ma per quattro quinti si parla di quando e come il porno arriva nella vita dei divi a luci rosse. Chi per sbarcare il lunario, chi per caso, chi perché preso dal gusto della trasgressione, chi come surrogato della prostituzione. Sono storie (quasi) tutte prevedibili quelle raccontate in questo documentario compilato quasi per intero a suon di interviste con uomini e donne che hanno ottenuto il successo nel mondo dell'hardcore per poi allontanarsene: a guardarli - maschi e femmine, indistintamente - si direbbe per eccesso di rughe, di colpi di bisturi o di adipe. L'età, insomma. Ad ascoltarli scopri che qualcuno ha avuto l'illuminazione religiosa modello Claudia Koll, qualcun altro ha messo su famiglia, altri ancora hanno tentato di fuggire da quella marginalità alla quale i pornodivi sono inoppugnabilmente condannati nella vita privata, con i figli oggetto di sberleffi continui e loro costantemente sotto il dito indice di qualcuno, non fosse altro che per gli etti di plastica contenuti nelle loro facce. Ma le dita che si agitano di più sono quelle che mimano le virgolette in aria, intollerabile gesto di questa epoca, come a voler prendere le distanze da tutto. A cominciare dai rimorsi.    

domenica 8 marzo 2015

The Judge

anno: 2014       
regia: DOBKIN, DAVID
genere: drammatico
con Robert Downey Jr., Robert Duvall, Vera Farmiga, Billy Bob Thornton, Vincent D'Onofrio, Jeremy Strong, Dax Shepard, Leighton Meester, Ken Howard, Emma Tremblay, Balthazar Getty, David Krumholtz, Grace Zabriskie, Denis O'Hare, Sarah Lancaster, Lonnie Farmer, Matt Riedy, Mark Kiely, Jeremy Holm, Catherine Cummings, Tamara Hickey, Paul-Emile Cendron, Ian Nelson, Carol S. Austin, Marcus D'Angelo, Michael Celata, Bobby Bryan, Cody Pettola, Johnny Orlando, Gary Wayne Farris, Jonathan Ziese, Ras Enoch McCurdie, Ian Blackman, John Talalas, Daryl Edwards, Joel Brady, Sara Jane Burns, Ara Glenn-Johanson, Kate Crowley, Peter Michael McDonald, Michael Patrick Kane, Lance Norris, Lenny Clarke, Duncan B. Putney, Frank Ridley, Pun Bandhu, Jamison Haase, Lucien Spelman, Timothy John Smith, Brian McGrail, Joyce Greenleaf, Enn Reitel
location: Usa
voto: 4,5

Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. Famiglia. E ancora famiglia. Non se ne può più di questi filmacci americani sulla famiglia, pieni zeppi di retorica e sentimentalismo per masse belanti. Nella fattispecie abbiamo un avvocato rampante che si fa pagare a carati per difendere ricchi colpevoli (Downey), con un matrimonio in crisi e un rapporto azzerato da anni con l'anziano padre (Duvall), un giudice salomonico e rispettatissimo nella contea dell'Indiana dove esercita da quarant'anni. L'avvocato, secondo e più scapestrato di tre figli, torna presso la casa avita in occasione dei funerali della madre. Proprio in quel giorno il padre investe con l'automobile un vecchio furfante al quale anni prima aveva concesso una pena benevola. Al processo il figlio, a dispetto dei difficili rapporti, ne prende le difese.
Variante numero 27.981 del tema biblico "ritorno del figliol prodigo", che piacerà tantissimo a familisti incorreggibili e mancati preti. Qui siamo a un mix altamente imperfetto tra Hud il selvaggio, Incompreso, La valle dell'Eden e Il verdetto, con inevitabile pistolotto moralista e una varietà di inutili sottotrame per 2 ore e 20 di durata. Dopo film come Due single a nozze, Fred Claus e Cambio vita, il regista David Dobkin ha cercato di rifarsi una verginità con un melodrammone giudiziario superpatinato, mettendo in campo un attore capace di garantire il marchio da cinema d'essai come Robert Duvall e Robert Downey Jr., in gita sul set durante l'ora d'aria tra un'incarcerazione per molestie e una per stupefacenti. In quale fa l'unica cosa che gli è sempre riuscita: robertdowneyjunioreggiare. Cioè prodursi in una ridda di smorfiette e insopportabili sorrisetti istrionici. Dovrebbero radiarlo da tutti gli almanacchi per i casting. In ogni caso, Billy Bob Thornton, nei pochi momenti in cui appare, gli ruba completamente la scena.    

venerdì 6 marzo 2015

L'uomo dalla bocca storta

anno: 2009   
regia: PERGOLARI, ANDREA * SALCE, EMANUELE 
genere: documentario 
con Luciano Salce, Emanuele Salce, Giorgio Albertazzi, Lino Banfi, Alessandra Celi, Ennio Morricone, Matilde Pezzotta, Alessandro Gassman, Franca Valeri, Lina Wertmüller, Paolo Villaggio, Enrico Vaime, Catherine Spaak, Orchidea De Santis, Antonello Falqui, Paolo Ferrari (III), Jaja Fiastri, Pippo Franco, Franco Giacobini, Roberto Leoni, Lelio Luttazzi, Erico Menczer, Alberto Pezzotta, Guido Salce, Antonio Siciliano, Vittorio Sindoni 
location: Italia
voto: 6 

Luciano Salce era simpatico, ha diretto qualche buon film e in televisione quel suo mix di ironia e garbo lo rese un personaggio popolare. Ma da qui a farlo passare - come tentano alcune selezionatissime testimonianze raccolte dal figlio Emanuele - per una sorta di Maestro, ce ne passa davvero troppo.
L'omaggio filiale, agile e accattivante, ricostruisce, a vent'anni dalla morte di Luciano Salce, le tappe essenziali del percorso umano e artistico dell'uomo con la bocca storta (un incidente d'auto e il campo di concentramento a Dachau gli cambiarono la fisionomia): rimasto precocissimamente orfano di madre, cresciuto prima dalla nonna e poi in orfanotrofio, Salce si fece notare per la sua versatilità. Dalla recitazione al canto fino alla regia, conobbe le luci della ribalta grazie al suo eclettismo. Attore dagli anni cinquanta, esordì dietro la macchina da presa nel 1960 con Le pillole di Ercole, prima di tentare la fortuna in Brasile, dove raggiunse l'amico Adolfo Celi. Film come Il federale, La voglia matta, Il Prof. Dott. Guido Tersilli e i primi due episodi di Fantozzi gli diedero qualche credibilità anche presso la critica più accigliata. Ma di film come Riavanti... marsh!, Vieni avanti, cretino e Quelli del casco non può dire che siano pietre angolari del cinema italiano.
Il documentario è confezionato con mano piuttosto convenzionale, pur non mancando qualche incursione - anche dolorosa - nel privato (l'amico Gassman gli soffiò la moglie Diletta) e di qualche momento gustoso, a cominciare dall'affannosa ricerca che il figlio Emanuele ha fatto in via Luciano Salce, a Roma, nei pressi della Laurentina, cercando qualcuno che sapesse chi fosse la persona che dà il nome a quella via. E non trovandone nemmeno uno.    

giovedì 5 marzo 2015

Scandalo in sala (la sfida tra potere e cinema in Italia)

anno: 2014   
regia: MURRI, SERAFINO * ROSATI, ALEXANDRA 
genere. documentario 
con Marco Bellocchio, Bernardo Bertolucci, Alberto Crespi, Francesca De Sapio, Marco Tullio Giordana, Wilma Labate, Nanni Moretti, Vittorio Taviani, Mons. Dario E. Vigano 
location: Italia
voto: 7 

Leggi "Scandalo in sala" e pensi subito alla censura. E in effetti è dalla censura dello spettacolo, quella varata sotto Giolitti nel 1913, che iniziò il braccio di ferro tra potere e cinema in Italia, vero fulcro del film. È una storia partita con intenti oscurantisti rispetto al sesso e poi passata per momenti grotteschi, velleità faraoniche - come sotto il regime fascista che seppe intuire le potenzialità del cinema come mezzo di propaganda - tattiche cerchiobottiste, antagonismi impensabili, riflusso. Se i nomi chiave per capire questa lunga battaglia combattuta a punta di forbici e di carte giudiziarie dalla parte della politica sono stati quelli Andreotti, Scelba, Tambroni e Berlusconi - tutti uomini che intuirono il potenziale eversivo del cinema e cercarono di addomesticarlo -, sull'altra sponda è d'obbligo ricordare Visconti, Ferreri, Monicelli, Pasolini, Petri, Bellocchio, Bertolucci, Ciprì e Maresco. I quali non solo diventarono l'oggetto di un'autentica caccia alle streghe per via degli strali lanciati contro i pilastri del conformismo italico - famiglia e religione -, ma vennero anche colpiti dal fuoco amico della sinistra quando assunsero posizioni critiche nei confronti di quella stessa parte politica. Con tutti i film che oggi dovrebbero fare scandalo per la loro inconsistenza, assenza di qualsiasi valore estetico e volgarità - da I soliti idioti ai cinepanettoni - ha dell'incredibile che opere come Umberto D., Totò e Carolina, La grande guerra, La dolce vita, L'avventura o Rocco e i suoi fratelli abbiano potuto essere oggetto di incredibili traversie legali.
Ciò che racconta il sobrio ed efficacissimo documentario di Murri e Rosati è la storia di una battaglia che fino agli anni '70 è stata combattuta sulla sponda della politica senza troppi sotterfugi. Con gli anni '80 e l'avvento della tv private si cominciò ad assistere ad un brusco e subdolo cambio di strategia: l'occupazione del territorio cinematografico avvenne prima attraverso il depotenziamento del cinema d'autore, poi con robuste iniezioni di paccottiglia culturale che cambiò per sempre il profilo culturale della penisola, fino a rendere il cinema un oggetto di consumo alla pari dei popcorn che si consumano nei multiplex, l'equivalente dell'impoverimento culturale a tutto campo rappresentato dall'occupazione del tempo libero con quello del consumo.    

martedì 3 marzo 2015

Senza Lucio

anno: 2014       
regia: SESTI, MARIO   
genere: documentario   
con Lucio Dalla, Marco Alemanno, Charles Aznavour, Piera Degli Esposti, Paolo Nutini, John Turturro, Paolo Taviani, Enzo Bianchi, Luigi Ontani, Mimmo Palladino, Ernesto Assante, Gino Castaldo, Renzo Arbore, Stefano Di Battista, Paola Pallottino, Michele Mondella, Beppe d’Onghia, Antonio Forcellino, Beppe Servillo, Toni Servillo, Paolo Tagliapietra   
location: Italia
voto: 7   

Lucio Dalla nacque il 4 marzo del 1943. il 4 marzo del 2015, a tre anni e tre giorni dalla morte, il documentario del critico cinematografico Mario Sesti celebra uno dei personaggi più eclettici e irregolari della canzone italiana con un film che è filologico rispetto al titolo. Senza Lucio racconta cioè un'assenza: innanzitutto quella vissuta da Marco Alemanno, quasi 40 primavere di differenza con Dalla e suo compagno di vita da molti anni. Con la sua voce magnifica, pacata e avvolgente, Alemanno - che non compare mai in video se non in una breve ripresa domestica di repertorio - si sofferma soprattutto sul lato umano del personaggio Dalla, tira fuori dal cassetto una serie impressionante di foto inedite, intime, che ritraggono il cantautore bolognese nella quotidianità. Ma l'assenza viene raccontata, a complemento delle parole di Alemanno, anche dai tanti che lo hanno conosciuto: dagli stranieri come Paolo Nutini e John Turturro, entrambi di origini italiane, a chi ha lavorato con Dalla nel cinema (Paolo Taviani, Mimmo Palladino) e nella musica (Stefano Di Battista, Beppe d'Onghia ma anche Paola Pallottino, che con Dalla scrisse i primi straordinari successi), fino al priore di Bose, Enzo Bianchi. Ne esce il ritratto di una persona generosissima, piena di talento, di curiosità insaziabile e con un'energia spaventosa e contagiosa, incapace di limitare la sua creatività al mondo della musica. Ma emergono anche aspetti parzialmente inediti: la sua presunta telepatia, l'amore debordante per la Puglia, la Sicilia e le isole Tremiti, la religiosità, la riservatezza, le difficoltà nel parlare di quel padre morto quando lui aveva 7 anni e sul quale si sono fatte le ipotesi più azzardate nell'esegesi di 4.3.1943 ("dice che era un bell'uomo e veniva... veniva dal mare"). Un ritratto complessivamente toccante, insolito, nel quale il vero protagonista non si vede mai nell'iconografia più corriva (concerti, interviste) né lo si sente mai eseguire canzoni, che sono invece tutte affidate ad altri: Marta sui Tubi, Paolo Fresu, Maria Pia De Vito, Peppe Servillo e un inascoltabile coro che si chiama Novesesti. Se sul piano dei contenuti - a parte le consuete smargiassate di Ernesto Assante - il documentario è toccante e originale tanto quanto lo è la scelta delle canzoni (Le rondini, Ulisse coperto di sale e Felicità non sono esattamente tra i brani più noti), su quello della forma il film rivela goffi tentativi di calligrafismo, una miriade di immagini usate in maniera illustrativa e didascalica (si parla dell'Etna e vi vede l'Etna…) e un uso ai limiti del ridicolo del sonoro anticipato. Ma gli aneddoti di Arbore e l'impagabile rievocazione della loro amicizia adolescenziale da parte di una sempre stupefacente Piera Degli Esposti da soli valgono il prezzo del biglietto.    

domenica 1 marzo 2015

Vizio di forma (Inherent Vice)

anno: 2014       
regia: ANDERSON, PAUL THOMAS
genere: grottesco
con Joaquin Phoenix, Josh Brolin, Owen Wilson, Katherine Waterston, Reese Witherspoon, Benicio Del Toro, Martin Short, Jena Malone, Maya Rudolph, Joanna Newsom, Eric Roberts, Hong Chau, Serena Scott Thomas, Michael K. Williams, Martin Donovan, Sasha Pieterse, Jeannie Berlin, Timothy Simons, Peter McRobbie, Sam Jaeger, Katie Schwartz, Jordan Christian Hearn, Michael Cotter, Sophia Markov, Victoria Markov, Andrew Simpson, Charley Morgan, Christopher Karl Johnson, Jefferson Mays, Keith Jardine, Elaine Tan, Yvette Yates, Christopher Allen Nelson, Delaina Mitchell, Martin Dew
location: Usa
voto: 3

Non ho mai letto Thomas Pynchon per intero. Al massimo sono arrivato a pagina 23 de L'arcobaleno della gravità. Non sono abbastanza intelligente per capirlo né abbastanza colto per afferrarne le sciarade e la prosa arzigogolatissima. Ma è colpa sua se quell'altro pazzoide di Paul Thomas Anderson (chi altro, altrimenti, avrebbe potuto avere l'ardire di portarlo sul grande schermo?), che di film estremi se ne intende (Magnolia, Ubriaco d'amore, Il petroliere e The master sono tutti, in maniera diversa, estremi), nel partire dal suo romanzo ha girato la più parossistica di tutte le sue opere. Vizio di forma è programmatico fin dal titolo, che non rimanda al lessico giuridico, ma semmai all'incomprensibilità dell'intreccio. È un film labirintico, di una verbosità torrenziale, lunghissimo (due ore e mezza); straborda di trame e sottotrame, sostenute da una miriade di personaggi che appaiono e scompaiono all'interno di una cornice impegnata a ricostruire la cultura psichedelica di quell'epoca. E c'è tanta droga, spinelli a gogò, narici imbiancate. Lo spunto narrativo è apparentemente semplice: siamo nella California del 1970, la musica d'epoca è quella dei Can e di Neil Young (ma la colonna sonora l'ha firmata Jonny Greenwood, il chitarrista dei Radiohead. Doc Sportello (Phoenix) è un detective privato con il debole per i cannabinoidi che si vede improvvisamente comparire sull'uscio di casa una sua vecchia fiamma (Waterston), la quale gli chiede di scoprire che fine abbia fatto il suo attuale compagno, un magnate che qualcuno ha voluto internare in una clinica psichiatrica. Tra poliziotti dalle maniere spicce (Brolin), dentisti pedofili, trafficanti di eroina, agenti infiltrati in una setta neonazista e una diffusa sindrome da nuovi Charles Manson, Doc cercherà di sbrogliare la matassa. Mi è parso che ci sia riuscito, ma non ne sono sicuro perché dormivo e i miei amici non me lo hanno saputo dire. Quindi diciamo che il finale è aperto.
Il Vizio di forma del film sta nel suo essere cervellotico come, presumibilmente, lo è il romanzo da cui è tratto. Alla libertà espressiva totale e al diluvio logorroico del copione - ideale contraltare ai 20 minuti di silenzio totale col quale si apriva quel capolavoro de Il petroliere - non corrisponde stavolta una messa in scena all'altezza: tutto sembra esagerato, sovraccarico, barocco, ipertrofico come i favoriti di un Joaquin Phoenix ancora straordinario ma sacrificato a un film dai marcati tratti grotteschi e surreali che ancora una volta mostra - alla stregua di Birdman - l'assoluto primato della tecnica sulla bellezza. È Baggio che sta in panchina, direbbe Baricco. La nuova forma di barbarie culturale.    

Quelle strane occasioni

anno: 1976       
regia: COMENCINI, LUIGI * LOY, NANNI * MAGNI, LUIGI   
genere: commedia a episodi   
con Nino Manfredi, Stefania Sandrelli, Alberto Sordi, Paolo Villaggio, Lars Bloch, Flavio Bucci, Giovannella Grifeo, Olga Karlatos, Beba Loncar, Valeria Moriconi, Bryan Rostron, Jinny Steffan, Ulla Johannsen   
location: Italia, Olanda
voto: 6   

Metà anni settanta. Gli anni degli indiani metropolitani, di Potere Dromedario, del femminismo, della liberazione sessuale, dei modelli etici che si cominciavano ad affrancare dai canoni parrucconi di un'Italia provinciale e bigotta, che con l'esito dei referendum su aborto e divorzio stava dando finalmente un segnale di modernità. Tre registi raccontano gli spostamenti progressivi del comune senso del pudore giocando sul tema della doppia morale e turlupinando un Paese pronto al rinnovamento soltanto a chiacchiere.
Il primo episodio, diretto ma non firmato da Nanni Loy, racconta la vicenda di un venditore italiano di castagnaccio (Villaggio) emigrato ad Amsterdam per fare fortuna. Gli incassi sono scarsi, la moglie (Loncar) mugugna e il caso vuole che finisca col fare il performer superdotato in un cabaret locale. Quando la moglie lo scopre, pretendendo di avere una parte nello spettacolo, l'uomo va in crisi.
Nel secondo episodio, diretto da Luigi Magni, un architetto romano rimasto solo a casa (Manfredi) si vede arrivare tra capo e collo una ragazza che aveva conosciuto molti anni prima, quando questa era ancora una bambina. Non resisterà agli impulsi della carne ma ne scoprirà delle belle.
Il terzo episodio è anche il più fiacco. Lo dirige Comencini e lo interpretano, all'interno dell'angusto spazio di un ascensore rimasto bloccato nel giorno di ferragosto, un monsignore (Sordi) e una ragazza (Sandrelli) in procinto di andare al mare. I due consumano ma il prelato, a cose fatte, sistema tutto sotto il profilo morale. Commedia a episodi con pretese di satira di costume ben allocata, che a distanza di anni fa sorridere (ma l'episodio di Villaggio possiede momenti esilaranti) e vale soprattutto come testimonianza di una transizione d'epoca.