lunedì 30 aprile 2018

Madonna, che silenzio c'è stasera

anno: 1982   
regia: PONZI, MAURIZIO    
genere: comico    
con Francesco Nuti, Edi Angelillo, Massimo Sarchielli, Giovanna Sammarco, Mario Cesarino, Lucilla Baroni, Ugo Bencini, Mario Cassigoli, Letizia de Stefanis, Fausto Fidenzio, Andrea Montuschi, Lamberto Muggiani, Giovanni Nannini, Novello Novelli, Ricky Tognazzi    
location: Italia
voto: 6,5    

Dopo i successi televisivi e quello al cinema con Ad Ovest di Paperino, ottenuti con il trio comico dei Giancattivi, Francesco Nuti esordisce come solista con un copione scritto a quattro mani con Elvio Porta e diretto da Maurizio Ponzi. Si tratta del racconto di una giornata, dal risveglio al ritorno sotto le lenzuola, di Francesco, disoccupato squattrinato ossessionato dalla madre dirimpettaia, segnato dalla perdita del padre e piantato dalla sua ragazza. Nelle ventiquattr'ore Francesco fa amicizia con un monello dodicenne, cerca lavoro in un'azienda di telai (il comico è di Prato, città emblema del tessile), fa irruzione durante la celebrazione di un matrimonio, convinto di trovare sull'altare la sua ex, vince una gara canora per dilettanti (con la celeberrima canzone "Puppe a pera"), va in bianco con una prostituta (Angelillo) e coltiva il sogno di andare in Perù, a Machu Picchu.
Lontanissimo da Benigni, col quale condivide le origini toscane, Nuti propone una comicità piena di grazia, stralunata e surreale (siamo, semmai, dalle parti di Pozzetto), incarnando un clown malinconico, simpatico e garbato, a servizio di un copione con tanto di citazioni chapliniane che giustappone gag talvolta esilaranti e grottesche (su tutte, quelle di un tizio che dà indicazioni stradali, ossessionato dal fratello). Film paratelevisivo e sostanzialmente senza trama, Madonna che silenzio c'è stasera fu il primo di una serie di successi che il comico toscano realizzò al botteghino negli anni Ottanta, prima di arrivare a quella caduta rovinosa, in senso letterale, che gli devastò la vita per sempre.

domenica 29 aprile 2018

Corpo e anima (Teströl és lélekröl)

anno: 2017       
regia: ENYEDI, ILDIKO    
genere: sentimentale    
con Géza Morcsányi, Alexandra Borbély, Zoltán Schneider, Ervin Nagy, Tamás Jordán, Zsuzsa Járó, Réka Tenki, Júlia Nyakó    
location: Ungheria
voto: 3    

L'unione di due solitudini si fonde nella comunanza dei sogni. La regista ungherese Ildiko Enyedi si è aggiudicata l'Orso d'oro a Berlino con questa favola ambientata in un mattatoio (è quasi impossibile resistere alla tentazione di diventare vegetariani, dopo le eloquentissime immagini di sventramenti e sbudellamenti del primo quarto d'ora, con molto corpo e poca anima). Lei (Borbély) è la giovane responsabile al controllo della qualità delle carni, inflessibile e rigorosa come si addice al suo carattere introverso, poco socievole, ossessivo. Lui (Morcsányi) il maturo e goffo direttore di quel macello, con un braccio "offeso" e un gran desiderio di trovare l'anima gemella. Quando la polizia (prima) e una psicologa (poi) indagheranno su un piccolo reato che è stato commesso all'interno dell'azienda, i due scopriranno di fare gli stessi identici sogni, coronando un'unione a tutta prima impossibile.
Cinema scarnificato, estremo, tipicamente festivaliero, che eccede la capacità dello spettatore di mantenere lo stato di veglia e di empatizzare nei confronti dei due protagonisti, figure troppo estreme messe a servizio di un vero e proprio teorema sull'impossibilità delle relazioni amorose. Troppo poco la messa in scena, quasi tutta in campi medi e a macchina fissa con continui scantonamenti sul grottesco, troppo il carico allegorico.    

sabato 28 aprile 2018

The Lobster

anno: 2015       
regia: LANTHIMOS, YORGOS    
genere: grottesco    
con Colin Farrell, Rachel Weisz, Jessica Barden, Olivia Colman, Ashley Jensen, Ariane Labed, Aggeliki Papoulia, John C. Reilly, Léa Seydoux, Michael Smiley, Ben Whishaw    
location: Grecia, Regno Unito, Irlanda, Olanda, Francia
voto: 5    

Opposti estremismi in conflitto. Da una parte i difensori della coppia; dall'altra, quelli della solitudine sentimentale e degli individui destinati, per loro natura, a vivere come monadi. In un futuro distopico ambientato non si sa dove né quando, David (Farrel) ha 45 giorni per trovare un'anima gemella, pena la sua trasformazione in un animale a sua scelta, l'aragosta del titolo, appunto. Riuscito a fuggire dall'albergo che ospita i single "disobbedienti", mandati a cacciare i solitari nel bosco, David si unisce a un drappolo di resistenti guidati da una donna (Seydoux), convinta sostenitrice della necessità di rimanere single. Quando l'uomo si innamora di una delle solitarie (Weisz) finisce con lo sparigliare le carte.
Il greco Yorgos Lanthimos, di stanza tra Irlanda e Inghilterra da qualche tempo, "riflette sull'atrofizzazione dei sentimenti" (Gervasini), proponendo un'opera allegorica a fortissima caratura simbolica, nella quale spinge con forza sul pedale del grottesco. Il registro è algido e straniante, la colonna sonora ridotta agli stessi, pochissimi accordi (di Shostakovich), il ritmo lento (o lentissimo), la messa in scena scarna e geometrica, ma l'insieme non si può dire che manchi di originalità soprattutto nella prima parte (nella seconda, questa fiaba nera diventa un'altra cosa e perde mordente), sebbene la prospettiva manichea del racconto faccia perdere le possibili sfumature delle intermittenze del cuore, qui affidate ai capricci del caso.    

venerdì 27 aprile 2018

Loro 1

anno: 2018       
regia: SORRENTINO, PAOLO    
genere: biografico    
con Toni Servillo, Riccardo Scamarcio, Elena Sofia Ricci, Fabrizio Bentivoglio, Ricky Memphis, Dario Cantarelli, Kasia Smutniak, Roberto De Francesco, Anna Bonaiuto, Ugo Pagliai, Yann Gael, Duccio Camerini, Elena Cotta, Mattia Sbragia, Iaia Forte, Max Tortora, Roberto Herlitzka, Michela Cescon, Milvia Marigliano, Caroline Tillette, Lorenzo Gioielli, Euridice Axen, Giovanni Esposito, Alice Pagani    
location: Italia
voto: 8,5    

La premessa necessaria è che Loro 1 è il primo tempo di un film che avrebbe potuto essere distribuito in sala in una sola volta, giacché la durata lo concederebbe. E il titolo di questo primo tempo potrebbe essere "Berlusconi e la figa". Benché il protagonista - che vanta già numerosi film (da Il caimano a Belluscone) - si veda soltanto a un'ora dall'inizio, Loro 1 racconta, nella prima parte, i preparativi dell'arrivista Sergio Morra / Gianpaolo Tarantini (Scamarcio) per arrivare alla corte di Berlusconi a suon di mignotte e, nella seconda, i dissapori estivi (nella sua residenza sarda) dello psiconano con la moglie Veronica Lario (Ricci), qui trasformata in una sorta di intellettuale annoiata. A Sorrentino basta alludere: la didascalia arriva solo col personaggio di Noemi Letizia, una delle tante zoccole finite alla corte del cavaliere. Tutti gli altri personaggi hanno nomi di finzione (il Lele Mora di Roberto De Francesco diventa Fabrizio Sala), altri sono una miscela di politici esistenti (l'aedo Sandro Bondi, ex ministro della cultura, e Roberto Formigoni, con le sue camicie, sono impastati nella figura interpretata da Bentivoglio), altri ancora rimangono nel mistero (quello che chiamano dio chi è? Bertolaso? E il personaggio di Anna Bonaiuto? La Santanché?). "Tutto è documentato. Tutto è arbitrario", come recita l'apoftegma di Giorgio Manganelli in apertura del film. Al regista poco importa la distinzione tra fantasia e realtà. Sa che il pubblico conosce quei fatti e sa come interpretarli: gli preme dunque ricostruire ambienti e atmosfere, mostrare la fauna umana nel suo stile di vita pecoreccio, lasciando a quella animale (una pecora che nella prima scena muore assiderata dal condizionatore, un rinoceronte fuggito dallo zoo e una pantegana che gira indisturbata per la capitale, provocando un colossale incidente con un mezzo dell'AMA) la sfera simbolica. E lo fa senza mai giudicare: il suo Berlusconi è un individuo che si qualifica per quello che è, tra mistificazioni, millanteria e una indomabile grandeur. Si obietterà che Toni Servillo gli conferisce una maschera troppo evidente, plastificata: ma cos'è l'originale, allora, rispetto alla copia cinematografica, se non una colossale impalcatura di botulino e trapianti? Quello che vediamo in Loro 1 è il ritratto privato di Berlusconi, con la politica lasciata quasi del tutto sulle quinte e fatta aggallare soltanto quando viene mossa dal pelo pubico femminile. Berlusconi e la figa, appunto, come solo Sorrentino potrebbe fare: regalandoci un'opera d'arte ad ogni inquadratura (merito anche della fotografia sempre straordinaria di Luca Bigazzi), curando scene di gruppo e dialoghi con assoluta maestria e lavorando in maniera superbamente creativa sul sonoro, vero valore aggiunto del film.    

giovedì 26 aprile 2018

Bianconeri. Juventus Story - Il film

anno: 2016   
regia: LA VILLA, MARCO * LA VILLA, MAURO   
genere: documentario   
con Gianni Agnelli, Umberto Agnelli, Andrea Agnelli, John Elkann, Lapo Elkann, Michel Platini, Alessandro Del Piero, Gianluigi Buffon, Pavel Nedved, Giorgio Chiellini, Claudio Marchisio, Arturo Vidal, Andrea Pirlo, Leonardo Bonucci, Ginevra Elkann, Giancarlo Giannini   
location: Italia
voto: 2   

Non date retta al titolo: la storia della Juventus c'entra ben poco. Il documentario diretto da Marco e Mauro La Villa è un'agiografia della famiglia Agnelli, faziosissima e ingannevole, non a caso prodotta da Lapo Elkann, un re Mida al contrario che qualsiasi cosa tocchi la trasforma in escremento. Come può essere considerato come una "storia" della più blasonata e titolata squadra italiana, quella con più tifosi al seguito, un documentario che non menziona nemmeno una volta calciatori come Combi, Rosetta, Caligaris, Bigatto, Parola, Sivori, Charles, Scirea, Anastasi, Zoff, Cabrini, Tardelli, Causio, Haller, Rossi e moltissimi altri ancora che hanno contribuito a creare la leggenda della squadra torinese? Il film è invece tutto uno sbrodolare sulle immagini (quasi sempre in bianco e nero) dell'avvocato Gianni Agnelli e di suo fratello Umberto, a cui si aggiungono gli interventi inestetici da ogni punto di vista (a cominciare dalle interviste rilasciate in lingua inglese per far vedere che si è studiato all'estero) all'attuale presidente Andrea Agnelli, ma anche a John Elkann e allo stesso Lapo. La verità è che questo gigantesco spottone narciso sulla famiglia Agnelli nasconde ben altre questioni, sia sportive che interne alla famiglia. Se l'avvocato tirava coca a gogo, la bravate di Lapo a suon di droga e orge vengono del tutto derubricate dal copione, il suicidio del figlio dell'avvocato, Edoardo, ridotto a mere questioni esistenziali di un uomo sostanzialmente debole, il tentato suicidio di Pessotto, il terzino che si lanciò dal terzo piano della sede bianconera, imputato a un eccesso di pressione durante lo scandalo dei favori arbitrali. Potendo, il documentario riesce a fare peggio sul piano della ricostruzione delle vicende sportive: la tragedia dell'Heysel del 1985, durante la finale di coppa dei campioni in occasione della quale morirono 36 persone, viene riletta come una reazione maschia e responsabile degli undici in campo; lo scandalo del 2006, che portò la squadra alla retrocessione in serie B per la prima volta nella sua storia e alla revoca di due scudetti, viene proposta come l'effetto della congiura delle due squadre milanesi; gentaglia come Moggi, Giraudo e Bettega elevati a santini, martiri per il bene della società sportiva fondata nel 1897. E così via almanaccando in un documentario che si preoccupa pochissimo di mostrare le imprese dei calciatori sul campo di gioco e che si sofferma sui simboli più recenti a uso e consumo della tifoseria più acefala: Buffon, Del Piero, Nedved e, guardando alla panchina, Trapattoni, Lippi, Capello e Conte. Un esempio fulgido - peraltro cinematograficamente irrilevante - di come lo spirito di De Coubertin possa essere del tutto assente in ambito sportivo anche fuori dal rettangolo verde.   

martedì 24 aprile 2018

L'esodo

anno: 2017       
regia: FORMISANO, CIRO    
genere: drammatico    
con Daniela Poggi, Kiara Tomaselli, Carlotta Bazzu, Alice Valnte Visco, Francesco Alvaro, Simone Destrero, Ylenia Petrelli, David Mastinu, David White, Veronica Rega, Martina Palmitesta, Fulvia Patrizia Olivieri, Fabio Farronato, Ludovica Ruggeri, Christian Marazziti, Sara Ruggeri, Ilir Jacellari, Cinzia Susino, Alessandro Solombino, Ciro Buono, Emanuela Tittocchia, Rosaria De Cicco, Cinzia Mirabella, Vincenzo Giordano, Silvia Ieboah, Davide Petrucci,. Daene Bimbah    
location: Italia
voto: 3    

Come ti ammazzo la classe media. Ci volevano i professoroni del gruppo Bilderberg - Mario Monti ed Elsa Fornero - per mandare al tappeto chi, dopo aver lavorato per una vita intera, si è visto costretto a lasciare il posto anzitempo senza neppure ricevere la pensione, con qualche lacrimuccia telegenica ma soprattutto ipocrita. Si chiamano esodati, e nel 2017 - a 6 anni di distanza dalla riforma Fornero (come ci avverte la didascalia sui titoli di coda) - sono ancora in 5000 e non godono di alcun reddito. L'esodo è la storia di una di loro (Poggi): una sessantenne sola, con nipote adolescente a carico, che improvvisamente si vede costretta a chiede le elemosina nella centralissima piazza della Repubblica a Roma. Tra amicizie con altri diseredati, l'incontro con una giornalista che vuole portare il suo caso sulla ribalta mediatica, gli scontri con una zingara per l'occupazione di quel fazzoletto di marciapiede e un'assurda occasione di lavoro, le sue giornate scorrono nella più totale desolazione ma con qualche sprazzo di solidarietà umana.
Dispiace dirlo, data l'importanza e l'urgenza del tema, ma il film dell'esordiente Ciro Formisano, un esempio di cinema impegnato e militante, è di un pressapochismo tale da vanificare completamente i contenuti proposti. Dal sonoro in presa diretta (di Eleonora Torchio) alla recitazione degli attori, passando per gli assurdi tagli di montaggio, ne L'esodo - tratto dal romanzo eponimo dello stesso regista - manca la più elementare sintassi filmica, carenza a cui si sommano il registro didascalico dell'opera e l'eccesso di retorica. Chissà cosa sarebbe potuto diventare un film del genere nelle mani di un novello Petri o in quelle di Garrone. Qui non si va oltre un prodotto davvero imbarazzante, che rischia di trasformarsi in un autentico boomerang all'arrivo della scena più assurda: quella in cui, in sottofinale, la ministra si materializza davanti agli occhi dell'indigente protagonista.
   

lunedì 23 aprile 2018

Il tuttofare

anno: 2018       
regia: ATTANASIO, VALERIO  
genere: grottesco  
con Sergio Castellitto, Guglielmo Poggi, Elena Sofia Ricci, Clara Alonso, Alberto Di Stasio, Luca Avagliano, Beatrice Schiros, Mimmo Mignemi, Guglielmo Poggi    
location: Italia

voto: 4,5  

Antonio (Poggi) è un brillante neolaureato in giurisprudenza che vive con il padre vedovo in una stamberga alle porte di Roma. Viene preso come praticante, rigorosamente in nero, da un principe del foro (Castellitto) che è anche docente universitario, avvezzo a intrallazzi d'ogni tipo. L'ingenuo ragazzino passa così da un matrimonio combinato con l'amante dell'avvocato a un incontro ravvicinato, molto ravvicinato, con dei mafiosi collusi con il suo datore di lavoro.
Esordio dietro la macchina da presa per Valerio Attanasio, che - tra riprese e montaggio - dimostra indubbiamente di avere masticato cinema a volontà, ben oltre l'abbecedario scolastico. Tutt'altro discorso riguardo al copione, che sbiadisce soprattutto nella seconda parte, quando il rapporto tra mentore e recluta imbocca una pista esageratamente grottesca. Il giovane protagonista, una sorta di Emilio rousseauiano postmoderno, sembra uscito dalla stessa penna che generò il personaggio di Trintignant ne Il sorpasso, centrifugato in una lettura nient'affatto consolatoria sul rapporto scoraggiante tra giovani e mondo del lavoro.    

sabato 21 aprile 2018

Molly's game

anno: 2017       
regia: SORKIN, AARON    
genere: biografico    
con Jessica Chastain, Idris Elba, Kevin Costner, Michael Cera, Jeremy Strong, Chris O'Dowd, Bill Camp, Brian d'Arcy James, J.C. MacKenzie, Graham Greene (II), Justin Kirk, Angela Gots, Natalie Krill, Stephanie Herfield, Madison McKinley, Michael Kostroff    
location: Usa
voto: 2,5    

La parte migliore del film è nei primi 5 minuti: la storia (vera) di una donna intellettualmente dotata, destinata a diventare una stella dello sci freestyle ma fermata da un assurdo incidente: montaggio serrato, riprese virtuosistiche, narrazione accattivante. Da lì in avanti, lo spettatore deve sorbirsi due ore e un quarto di noiosissime partite di poker (siamo lontanissimi sia da film come Regalo di Natale che da altri come 21), di voce fuori campo che si mangia quasi l'intero film, di situazioni reiterate all'infinito. Né la vicenda raccontata è granché originale: per voglia di rivalsa, Molly Bloom (Chastain) si sfila da suo ex datore di lavoro, biscazziere a tempo perso, per cominciare a gestire partite a poker tra giocatori d'azzardo ultrafacoltosi che si incontrano clandestinamente in alberghi esclusivi. Il gioco va avanti fino a quando le fiches non arrivano nelle mani della mafia russa. Federali e fisco cominciano a indagare, il capitale milionario della donna viene confiscato e a questa non rimane che affidarsi a un avvocato di colore (Alba) che dapprima nicchia ma poi fiuta l'affare.
Messo sulle spalle (ma ancor più sulle tette, vista la generosità con cui la protagonista esibisce le sue scollature, che peraltro sono la seconda parte migliore del film) di un'attrice miracolata come Jessica Chastain, Molly's game punta molto sull'ostentazione del montaggio e su un sonoro incalzante, antidoti del tutto inefficaci contro una noia incontrollabile. Rimane un mistero  insondabile come Jessica Chastain abbia potuto lavorare con registi di rango come la Bigelow, Guillermo Del Toro, Malick, Nolan e Ridley Scott.    

Sole alto (Zvizdan)

anno: 2015       
regia: MATANIC, DALIBOR    
genere: drammatico    
con Goran Markovic, Tihana Lazovic, Nives Ivankovic, Dado Cosic, Stipe Radoja, Trpimir Jurkic, Mira Banjac, Slavko Sobin, Lukrecija Tudor, Tara Rosandic, Ksenija Marinkovic    
location: Croazia, Serbia, Slovenia
voto: 6    

Tre storie d'amore impossibile a distanza di 10 ani una dall'altra, tutte ambientate nella ex-Jugoslavia e interpretate dagli stessi attori, Goran Markovic e Tihana Lazovic. Si comincia dal 1991. Ivan e Jelena si amano e progettano di andare a vivere lontani da quella terra infuocata dal conflitto etnico-religioso tra serbi e croati. Ma il fratello di lei si oppone a quell'amore tra gente che appartiene a barricate opposte e apparecchia per il ragazzo un tragico destino. La seconda storia, ambientata nel 2001, è quella mai sbocciata, ma consumata in un amplesso fugace, tra un giovane artigiano e una ragazza. In lei cova ancora il rancore nei confronti di gente come lui, di diversa etnia e ritenuta responsabile della morte del fratello. Il terzo episodio, ambientato nel 2011 in una ex Jugoslavia in ripresa economica, Luka torna nei luoghi natii, dove trova i genitori che non vede da tempo ma soprattutto la sua ex compagna e il suo piccolo bambino.
Film a tema sui prodromi e le conseguenze di un conflitto sanguinario i cui effetti, a distanza di un ventennio dal suo inizio, ancora non hanno cessato di essere. Il regista croato Dalibor Matanic parla un linguaggio filmico scarnificato, lascia spazio alle immagini inequivocabili di un territorio abbrutito dalla guerra civile, conventrizzato e desolante, riducendo i dialoghi e la colonna sonora al minimo per restituire il senso di rovina di un luogo in cui le ceneri di quel conflitto continuano ad ardere nei cuori delle persone.    

domenica 15 aprile 2018

Una questione privata

anno: 2017       
regia: TAVIANI, PAOLO    
genere: guerra    
con Luca Marinelli, Lorenzo Richelmy, Valentina Bellè, Francesca Agostini, Jacopo Olmo Antinori, Antonella Attili, Giulio Beranek, Mario Bois, Marco Brinzi, Fabrizio Colica, Mauro Conte, Fabrizio Costella, Lorenzo Demaria, Andrea Di Maria, Guglielmo Favilla, Anna Ferruzzo, Giuseppe Lo Piccolo, Vincenzo Nemolato, Tommaso Maria Neri (Tommaso Neri (II)), Alessandro Sperduti, Francesco Testa, Francesco Turbanti, Josafat Vagni, Francesco Paulucci, Margherita Gallian, Luca Tanganelli, Elena Sala, Alessandro Bertoncini, Jacopo Crovella, Cristian Mazzotta, Lorenzo Massa, Francesco Durando, Luca Cesa, Federico Palumeri, Edoardo Chiabolotti, Gianluca D'Ercole, Matteo Davide    
location: Italia
voto: 2,5    

Parte da un romanzo incompiuto di Beppe Fenoglio (e già lì…) il film che vede per la prima volta Paolo Taviani da solo in cabina di regia (il fratello più anziano, Vittorio - che pure ha collaborato alla sceneggiatura - è impedito da una malattia). E rivela ancora il cinema dei fratelli toscani per quello che è: un cinema d'essai, buono per i cineforum e i festival ad alto tasso di sussiego, ma terribilmente vecchio, sorpassato, incapace di inventiva. In Una questione privata manca tutto: un'idea di racconto, la direzione degli attori (a cominciare da Luca Marinelli, spaesatissimo, quasi in trance, che farfuglia spesso parole incomprensibili, forse per nascondere il birignao legato ai suoi natali romani), quel minimo di effetti speciali che ci si aspetterebbe da un'opera da Festival (con le sparatorie lasciate fuori campo o filmate in campo lunghissimo, relegate all'allusione del suono), il minimo sindacale di realismo che una storia come questa richiederebbe. Già, perché la questione privata del titolo rimanda alla brusca sterzata nella vita di Milton (Marinelli), giovane guerrigliero resistenziale che, durante i preparativi per un'azione bellica, finisce nei pressi dell'abitazione di Fausta (Bellè), la ragazza amata fino a un anno prima che però teneva in fibrillazione anche il suo amico Giorgio (Richelmy). La custode della casa (Ferruzzo), ormai lasciata vuota, racconta a Milton che tra Giorgio e Fausta c'era del tenero (o, meglio, del duro), a insaputa dello stesso Milton. Il quale, venuto a sapere che il suo vecchio amico è stato fatto prigioniero dai fascisti, cerca di catturare una camicia nera per poter scambiare l'uomo sequestrato con lo stesso Giorgio, e farsi raccontare finalmente la verità.
Ambientato con effetti risibili nella fumanti langhe piemontesi, Una questione privata irrita per l'assoluta irrilevanza conferita alla recitazione che, se può essere tollerabile per i tanti attori improvvisati visti nel film, diventa insopportabile nel caso di Valentina Bellè, che si conferma una miracolata della settima arte. Per il resto, il ritmo è talmente snervante da far percepire l'ora e venti di film per il doppio della sua durata, le inquadrature hanno una fissitudine degna di Roy Andersson e i dialoghi non sono all'altezza di un'opera letteraria dalla quale pure partono.    

Crazy heart

anno: 2009       
regia: COOPER, SCOTT   
genere: drammatico   
con Jeff Bridges, Maggie Gyllenhaal, Robert Duvall, Ryan Bingham, James Keane, Anna Felix, Paul Herman, Tom Bower, Beth Grant, Rick Dial, Debrianna Mansini, Jerry Handy, Jack Nation, Ryil Adamson, J. Michael Oliva, David Manzanares, Colin Farrell, Chad Brummett, José Marquez, LeAnne Lynch, William Marquez, Richard W. Gallegos, Brian Gleason, Harry Zinn, Josh Berry, William Sterchi    
location: Usa
voto: 6,5   

Nel corso di una tournée in New Mexico tra sale da bowling e locali di quart'ordine, Bad Blake (Bridges) - che un tempo era una stella della musica country - conosce la giornalista Jean (Gyllenhaal) in occasione di un'intervista. L'incontro con la giovane donna, sola e con un figlio di quattro anni a carico, costituirà per lui il viatico per una personale redenzione e per affrancarsi dall'alcol e da tutti i fallimenti matrimoniali che si è lasciato alle spalle.
Al suo esordio dietro la macchina da presa, lo sceneggiatore Scott Cooper licenzia un film piuttosto convenzionale, "d'attore", non a caso capace di fruttare a un eccellente Jeff Bridges il primo, meritatissimo Oscar della sua carriera. Ambientato in un'America che sembra quella ritratta da Hopper - tra stazioni di servizio e motel fatiscenti - Crazy heart si divide tra una prima parte prevalentemente ambientata nei locali dove si esibisce il protagonista e una seconda nella quale prende corpo la relazione con la giornalista. Raccontato in forma di road movie con tanto di chiosa del maestro costretto a fare da spalla al proprio allievo (Farrell), il film risente di un eccesso di manierismo, probabilmente da ricercare nel soggetto originale (di Thomas Cobb) che infila una trama imperniata sull'antieroe maudit, già letta e sentita troppe volte.    

giovedì 12 aprile 2018

Io sono tempesta

anno: 2017       
regia: LUCHETTI, DANIELE  
genere: commedia  
con Marco Giallini, Elio Germano, Eleonora Danco, Jo Sung, Francesco Gheghi, Carlo Bigini, Marcello Fonte, Franco Boccuccia, Paola Da Grava, Federica Santoro, Pamela Brown, Luciano Curreli, Jean Paul Buana, Stayko Yonkinsky, Mimmo Epifani, Simonetta Columbu, Klea Marku, Sara Deghdak    
location: Italia
voto: 3  

Condannato per frode fiscale, un magnate della finanza che vive a Roma in un lussuosissimo albergo tutto per sé (Giallini) viene condannato a un anno di servizi sociali (vi ricorda qualcosa?). Qui stringe amicizia con un padre sul lastrico (Germano) con figlio a carico e finisce sotto l'occhio ipervigile della responsabile della struttura (Danco), dal cui giudizio in termini di cooperazione ed empatia dipenderà la relazione al magistrato. Per ottenere la loro benevolenza, l'uomo cerca di ingraziarsi i poveracci invitandoli nella sua residenza faraonica e iniziandoli alle speculazioni finanziarie.
Ennesimo, infelicissimo passo falso di un autore ormai lontanissimo dalla sguardo attento che ebbe in film come Il portaborse o La scuola: qui l'osservazione della contemporaneità si stempera in un racconto bonario nel quale i senzatetto sono delle caricature e il plutarca prezzolato un simpaticone al quale il copione fornisce persino un alibi: quello di essere diventato così per via delle continue ingiurie subite dal padre. Per questa via, la satira si annacqua in una narrazione più attenta alla gag o alla battuta ma completamente incapace di cattiveria. Ai contenuti scialbi si aggiungono le musiche tonitruanti  e onnipresenti di Carlo Crivelli nonché le prove tutt'altro che convincenti di Marco Giallini - sempre uguale a sé stesso - e di Eleonora Danco, che sembra non aver capito che il set cinematografico non è quello di Me vojo sarva'. L'ennesima prova convincente di Elio Germano e la fotografia, garantita come sempre, di Luca Bigazzi, sono gli unici elementi che valgono in prezzo del biglietto.    

mercoledì 11 aprile 2018

Hostiles - Ostili

anno: 2017       
regia: COOPER, SCOTT    
genere: western    
con Christian Bale, Rosamund Pike, Wes Studi, Jesse Plemons, Adam Beach, Rory Cochrane, Ben Foster, Peter Mullan, Scott Wilson, Paul Anderson, Timothée Chalamet, Jonathan Majors, John Benjamin Hickey, Bill Camp, Ryan Bingham, Robyn Malcolm, Stephen Lang, Q'Orianka Kilcher, Luce Rains, Stafford Douglas, Richard Bucher    
location: Usa
voto: 7,5    

New Mexico, 1892. Un ufficiale dell'esercito americano (Bale) deve scortare un anziano capo cherokee (Studi) e la sua famiglia in Montana, nella terra natia che alloggia i nativi. Alla piccola truppa si aggregheranno una donna (Pike) alla quale gli indiani hanno sterminato la famiglia e un tagliagole che deve essere mandato a morte (Foster).
Scott Cooper, autore anche del soggetto e del copione, dirige un western in chiave di road-movie che ha l'indubbio merito di mettere in evidenza le contraddizioni dell'America in un'epoca ben lontana da quella attuale. Il viaggio di mille miglia nelle terre selvagge dal New Mexico all'Arizona anziché diventare occasione per esasperare l'aspetto belluino dei due protagonisti, entrambi macchiatisi in passato di orribili omicidi, si trasforma in una presa di coscienza, in un atto di accettazione del diverso, di acquisizione della consapevolezza delle oscenità perpetrate a danno dei nativi americani. La confezione, raffinatissima, dilata gli spazi (qui autentici coprotagonisti) e i silenzi, concede forse troppo alla colonna sonora di Max Richter, ma riesce a restituire in pieno la metamorfosi del protagonista, interpretato da un monumentale Christian Bale, messo a servizio di un film sull'Olocausto dei nativi americani destinato ad allungare una serie che annovera Piccolo grande uomo, Soldato blu, Corvo rosso non avrai il mio scalpo e Balla coi lupi.    

martedì 10 aprile 2018

Io c'è

anno: 2018       
regia: ARONADIO, ALESSANDRO    
genere: commedia    
con Edoardo Leo, Margherita Buy, Giuseppe Battiston, Giulia Michelini, Massimiliano Bruno, Gegia    
location: Italia
voto: 7    

Dal "porco Dio" di Anni ruggenti, un film del 1962 diretto da Luigi Zampa, quando - per la prima volta in Italia - si sentì qualcuno smoccolare sul grande schermo, a Io c'è, titolo geniale che assembla le scritte sulle strade che indicano il reperimento della droga con la massima di Marx sulla religione come oppio dei popoli, la religione stessa è stata raramente messa in discussione nel cattolicissimo Belpaese. C'è voluto il coraggio di Alessandro Aronadio - qui alla seconda regia dopo l'originale Orecchie e dopo la rovinosa caduta in sede di sceneggiatura de I peggiori - per mettere alla berlina gli istituti religiosi che, non paghi di non versare neppure un euro nelle casse dello Stato italiano, sbafano anche sull'accoglienza.
Sono proprio essi a fare concorrenza a Massimo (Leo), che abita nel pieno centro di Roma. Il suo bed & breafast, una struttura faraonica ereditata dal padre, frutterebbe di più se il fisco non gli togliesse quasi tutto. Con la sorella (Buy) e con l'aiuto di un intellettuale perdigiorno (Battiston) decide così di inventarsi una religione ex novo, lo ionismo, per il quale ogni individuo è il dio di sé stesso. Per questa via, lo stabile adibito a B&B viene trasformato in luogo di culto e addio tasse. Il problema è che la gente comincia a crederci davvero e per Massimo la nuova, imprevista responsabilità, diventa insostenibile.
Tra una suora apostrofata come "stronza" e una frecciata al bilderberghiano Mario Monti, vero rottamatore dell'intera nazione, Io c'è dà qualche stilettata alle religioni (ma siamo comunque ben distanti dal graffiante Religiolus), senza particolari distinzioni, salvo poi rifugiarsi in un paio di frasi cerchiobottiste (al protagonista estenuato dal nuovo corso della sua vita, l'amico prete risponde che, nonostante le tante critiche, "poi i problemi della gente ce li smazziamo noi") che relegano tutte le religioni a una narrazione rassicurante, senza calcolarne i devastanti effetti collaterali. Per il resto, Edoardo Leo - perennemente imbrigliato nello stesso personaggio - non sbaglia una battuta, qualche deviazione grottesca e persino da cinema western non guastano e il registro da commedia esistenzialista dissacrante è un amalgama ben riuscito.    

lunedì 9 aprile 2018

Tonya (I, Tonya)

anno: 2017       
regia: GILLESPIE, CRAIG  
genere: biografico  
con Margot Robbie, Sebastian Stan, Allison Janney, Julianne Nicholson, Paul Walter Hauser, Bobby Cannavale, Bojana Novakovic, Caitlin Carver, Mckenna Grace    
location: Usa
voto: 7  

Biopic di Tonya Harding (Robbie), pattinatrice americana arrivata ai massimi allori tra la fine degli anni Ottanta e la prima metà dei Novanta, ma assurta anche alla ribalta della cronaca giudiziaria per via del suo coinvolgimento nell'aggressione alla temutissima rivale Nancy Carrigan (era il 1994). Craig Gillespie (suo l'originale Lars e una ragazza tutta sua) prova a raccontarne la parabola sportiva e personale sospendendo fin troppo il giudizio su un personaggio che nel film rischia di diventare un santino vittima della madre (Allison Janney, impegnata in un ruolo cinico e brutale, in posa con un pappagallo sulla spalla durante le interviste e giustamente insignita con l'Oscar per la migliore interpretazione femminile da attrice non protagonista), a sua volta personaggio-chiave di una sottotrama non meno interessante. Raccontato con un certo compiacimento da cinema indie con venature acide e grottesche, trovate narrative accattivanti - con i quattro protagonisti che ricordano i diversi eventi in flashforward, ormai invecchiati - e una colonna sonora che assembla greatest hits di varie epoche, Tonya si concentra sul tira e molla perenne tra la protagonista e suo marito (Stan), un parassita dalla sberla facile, senza dimenticare di esaltare filologicamente le imprese sulla pista di ghiaccio della protagonista, un'antieroina lontanissima dai principi di De Coubertin, che grazie ai miracoli della postproduzione in digitale riesce a replicare gli impossibili tripli axel tramite la sovrapposizione del suo volto con quello di due pattinatrici professioniste.    

domenica 8 aprile 2018

La ruota delle meraviglie (Wonder Wheel)

anno: 2017       
regia: ALLEN, WOODY 
genere: commedia 
con Kate Winslet, Jim Belushi (James Belushi), Justin Timberlake, Juno Temple, Max Casella, Jack Gore, David Krumholtz, Robert C. Kirk, Tommy Nohilly, Tony Sirico, Stephen R. Schirripa (Steven R. Schirripa), John Doumanian, Tom Guiry, Gregory Dann, Bobby Slayton, Michael Zegarski, Geneva Carr, Ed Jewett, Debi Mazar, Danielle Ferland, Maddie Corman, Jacob Berger, Jenna Stern, Michael Striano, John Mainieri    
location: Usa
voto: 4 

Quattro personaggi nella Coney Island degli anni Cinquanta. Una donna al secondo matrimonio (Winslet), con un passato da aspirante attrice e un presente insipido a lavorare come cameriera e a dividere il tetto con un giostraio sbevazzone (Belushi). Quest'ultimo dopo cinque anni rivede la figlia un tempo ripudiata (Temple), che però ha alle calcagna gli scagnozzi del gangster col quale si è sposata in piena incoscienza. La ragazza si invaghisce di un bagnino (Timberlake) che però, senza che lei lo sappia, è anche l'amante del primo dei quattro personaggi. Come andrà a finire?
Con La ruota delle meraviglie possiamo ormai definitivamente congedarci dell'artista ottuagenario che in passato ci ha regalato prodigi a profusione ma che, con la sola eccezione di Match point, nel terzo millennio non ha infilato un solo film degno di nota. In questo caso, nonostante i riferimenti colti ai grandi classici del teatro e alla filosofia, siamo a una scrittura che va per le spicce, serva di un copione che mette in gara due donne diversamente frustrate con il giovanottone di turno (il mediocre cantante Justin Timberlake, presumibilmente nel cast per ingraziarsi il pubblico giovanile). Gratta gratta il mestiere di Allen si vede nelle scenografie d'epoca, nei cromatismi esasperati di Vittorio Storaro, nella capacità di direzione degli attori, ma è davvero troppo poco per un regista del suo calibro.    

sabato 7 aprile 2018

The Big Sick - Il matrimonio si può evitare, l'amore no

anno: 2017       
regia: SHOWALTER, MICHAEL    
genere: sentimentale    
con Kumail Nanjiani, Zoe Kazan, Holly Hunter, Ray Romano, Anupam Kher, Zenobia Shroff, Adeel Akhtar, Bo Burnham, Aidy Bryant, Kurt Braunohler, Vella Lovell, Myra Lucretia Taylor, Jeremy Shamos, David Alan Grier, Ed Herbstman, Shenaz Treasury, Rebecca Naomi Jones, Kuhoo Verma, Mitra Jouhari, Celeste Arias, Shana Solomon, Jeff Blumenkrantz, Linda Emond, Holly Chou, Andrew Pang, Alison Cimmet, Lawrence Ballard, Shunori Ramanathan, Spencer House, Susham Bedi, Rahul Bedi, Matty Cardarople, Myra Turley, William Stephenson, Marilyn Torres, Kerry Flanagan, Jack O'Connell, Charles Gould, Isabel Shill, Lauren Patten, Keilly McQuail, Zach Cherry    
location: Usa
voto: 1    

Si parla tanto, a ragione, del cattivo stato di salute della commedia italiana, che tanta soddisfazione dà agli esercenti ma poca ai palati che da qualche decennio - con poche eccezioni - sono in attesa di una svolta significativa. Non va meglio all'estero, dalla mediamente insulsa commedia francese a quella americana. Con The big sick siamo dalle parti del dramedy più convenzionale che incrocia lo spirito da commedia sull'integrazione culturale con il dramma della malattia. Kumail (Nanjiani, alla cui vera storia si ispira l'intero film) è un pakistano che sbarca il lunario come autista di Uber ma ha aspirazioni da comico, mentre la sua famiglia sta facendo carte false affinché si trovi una connazionale adeguata per il matrimonio. Ma lui si innamora di Emily (Zoe Kazan, la nipote di Elia), una biondina americana piuttosto scialbetta, alla quale nasconde le trame familiari. Quando lei scopre l'inganno, i due si lasciano, lei apprende di avere una malattia autoimmune, lui la assiste amorevolmente vincendo la resistenza dei genitori della ragazza e diventandone amico. E vissero felici e contenti.
Dialoghi tanto inconsistenti non si sentivano nemmeno dai tempi di Maciste contro il vampiro e il peggio è che il copione non si premura neppure di scrivere battute non dico degne di Woody Allen, ma almeno di un programma come Zelig, visto che buona parte del film è ambientata sul palcoscenico di un teatrino off. Interpreti senza alcun carisma, storia prevedibile, durata eccessiva, tempo buttato. L'ennesima variante, stavolta in chiave malincomica, di Indovina chi viene a cena è semplicemente fallimentare.    

venerdì 6 aprile 2018

I segreti di Wind River

anno: 2017       
regia: SHERIDAN, TAYLOR  
genere: giallo  
con Jeremy Renner, Elizabeth Olsen, Jon Bernthal, Kelsey Asbille, Julia Jones, James Jordan, Norman Lehnert, Gil Birmingham, Graham Greene (II), Martin Sensmeier, Eric Lange, Ian Bohen, Hugh Dillion, Teo Briones, Apesanahkwat, Tantoo Cardinal, Althea Sam, Tokala Clifford, Tyler Laracca, Austin Grant, Matthew Del Negro, Blake Robbins    
location: Usa
voto: 8,5    

Un cacciatore di animali da preda (Renner, strepitoso) si imbatte casualmente nel corpo di una ragazza amerinda scalza, riversa sulla neve, in un luogo dove la temperatura, di notte, scende di 30 gradi sotto lo zero. Come è arrivata lì quella ragazza, dato che l'abitazione più vicina è a 10 chilometri dal ritrovamento? Da cosa scappava? L'esame autoptico dimostra che è stata stuprata, sicché prima la polizia locale e poi l'FBI, impersonato da una giovane agente inesperta ma determinata (Olsen), si occupano del caso nell'ambito della riserva indiana chiamata Wind River. Sarà proprio il fiuto del cacciatore, che usa le tracce sulla neve come un moderno Sherlock Holmes, a fare luce sul giallo.
Esordio alla regia col botto dello sceneggiatore Taylor Sheridan (suoi i copioni di Sicario, Hell or High Water e di Soldado, del nostro Stefano Sollima), che dirige un thriller a orologeria (purtroppo ispirato a una storia vera), ambientato tra le nevi del Wyoming e imperniato sulla volontà di riscatto del protagonista, la cui figlia ha subito una sorte altrettanto amara di quella della ragazza trovata morta, e sulla dialettica tra la forma mentis di chi risiede in quei luoghi dimenticati da dio - nei quali conta soltanto la sopravvivenza - e l'ingenuità di chi arriva, completamente sprovveduto, dalla città.
Strameritato il premio per la miglior regia al 70esimo festival di Cannes (2017) nella sezione "Un Certain Regard".    

mercoledì 4 aprile 2018

Preferisco l'ascensore (Safety last!)

anno: 1923   
regia: NEYMEYER, FRED  
genere: comico  
con Harold Lloyd, Mildred Davis, Bill Strother, Noah Young, Westcott Clarke, Roy Brooks, Mickey Daniels, Richard Daniels, Ray Erlenborn, William Gillespie, Helen Gilmore, Wallace Howe, James T. Kelley, Gus Leonard, Sam Lufkin, Earl Mohan, Marie Mosquini, Fred C. Newmeyer, Charles Stevenson, Anna Townsend, Patrick Youch    
location: Usa
voto: 7  

Cosa non si farebbe per amore! Per ottenere la mano di Mildred (Davis), Harold (Lloyd) ha promesso di farsi una posizione in città, a Los Angeles. Le tenta tutte, trova posto come commesso ma quando lei gli fa un'improvvisata, lui deve apparecchiare una messinscena per farle credere di essere diventato il proprietario di un grande negozio di stoffe.
Pieno di trovate visive fin dalla prima inquadratura, che ci dà l'illusione di una scena dietro le sbarre di un carcere, Preferisco l'ascensore è una delle pietre miliari del cinema muto interpretate da Harold Loyd, in pieno spirito slapstick al servizio di una serie di gag originali e divertenti, la più nota delle quali rimane certamente quella del protagonista che, per dare al proprietario del negozio per il quale lavora una buona idea per attrarre quante più persone possibili, finisce per scalare un intero palazzo.    

lunedì 2 aprile 2018

Una donna fantastica (Una mujer fantástica)

anno: 2017   
regia: LELIO, SEBASTIAN 
genere: drammatico 
con Daniela Vega, Francisco Reyes, Aline Küppenheim, Luis Gnecco, Amparo Noguera, Antonia Zegers, Roberto Farías, Nicolás Gil Saavedra, Néstor Cantillana, Alejandro Goïc, Sergio Hernández    
location: Cile
voto: 7,5 

Marina (Vega) e Orlando (Reyes) si amano. Ma una notte lui si sente male e per di più, mentre sta per essere portato all'ospedale, precipita per le scale. I medici non ce la fanno a salvarlo e Marina - che rapidamente si dilegua dal nosocomio - perde l'uomo che amava proprio alla vigilia di un loro viaggio. Da quel momento per lei, che è un transessuale, comincia un calvario fatto di ricatti, minacce, insulti ("frocio"), botte, umiliazioni da parte della famiglia di lui, la ex moglie e il figlio in testa. Ma Marina ha la schiena dritta e cerca in tutti i modi di difendere il suo diritto a dire addio alla persona amata, a riprendersi il suo cane e a continuare, comunque, a vivere.
Dopo Gloria, il cileno Sebastian Lelio tratteggia ancora una volta una figura di donna (se non nel corpo, nello spirito) resiliente, sotto l'egida produttiva di Pablo Larrain. Un ritratto a tutto tondo, interpretato con incredibile intensità da un vero transessuale che è anche una cantante lirica (tanto che il regista consegna alla sua notevolissima voce l'ultima scena), un personaggio messo a servizio di una sceneggiatura che parte fortissimo ma che nella seconda metà del film perde intensità e un po' di spessore, accantonando la sottotrama poliziesca che sembra avere imboccato così come la ricerca sul passato del morto. Un peccato veniale per un'opera che è un pesante atto d'accusa alla borghesia cilena, parruccona e sessuofoba, e che è riuscito ad aggiudicarsi l'Oscar come migliore opera straniera e l'Orso d'argento per la sceneggiatura.